Ida

Pawlikowski è un regista polacco radicato in Inghilterra che con questo film conferma la sua squisita capacità di descrivere la psicologia femminile, come già nei suoi film precedenti: My summer of love e Last resort.

Ambientato nella Polonia del 1962, protagonista un personaggio marginale, una novizia orfana di nome Anna (Agata Trzebuchowska) in procinto di prendere i voti, cresciuta in un monastero cattolico e il cui futuro sembra fatto solo di preghiere e di silenzi. Ma prima della definitiva consacrazione, la madre superiore le rivela l’esistenza di una zia che non aveva mai voluto occuparsi della nipotina e che è giusto che conosca. Così la prima volta o quasi che Anna lascia il convento è per presentarsi un po’ a sorpresa da questa donna, Wanda (Agata Kulesza) che avrà una sorpresa ben più grande da farle: il suo vero nome non è Anna bensì Ida. E soprattutto non è cattolica ma ebrea!

Pawlikowski cosstrisce uno straordinario dramma intimo, esplorando le contraddizioni della fede e della vita laica, ma anche i tragici retaggi, ancora presenti, dell’antisemitismo, in una epoca cruciale della storia del suo Paese. Il suo stile assolutamente privo di retorica, essenziale e ricco di tristi e genuinamente commoventi toni poetici, ricorda sia l’austerita di Robert Bresson, sia la problematicità dei primi film di Polanski e di quelli di Kieslowski.
La scelta di girare nell’insolito formato «quadrato» che si usavanegli anni Quaranta (1:1.33), elegante ma anche freddo e glaciale nella compostezza di un bianco e nero che usa tutti i possibili toni del grigio dona alle protagoniste una bellezza classica. Le due magnifiche interpreti rivelano molto più di quello che mostrano, nello spettatore resterà il ricordo di un viaggio dentro le ferite della Storia.