Nel frastuono di sequenze dirette con buona mano e una vena nichilistica poco comune per una produzione americana emerge una possente struttura che somma all’action-thriller classico le vibrazioni più paranoiche del filone spionistico. Solo a livello epidermico, in realtà, si tratta di una storia in cui nessuno è quello che sembra e il male è proprio lì dove te lo aspetteresti, perché Safe House – Nessuno è al sicuro conta soprattutto per il racconto di due differenti e avverse visioni destinate in qualche modo ad incontrarsi. È il viaggio, nella sua accezione più straniante e piena di insidie, l’orizzonte in cui una tale metamorfosi può avvenire, così come accadeva nell’affine Quel treno per Yuma, classico che lo sceneggiatore David Guggenheim deve aver tenuto presente.
La fotografia gravida, ora accecante ora plumbea, segna le varie tappe del cammino fino ad una resa dei conti in perfetto stile western, stemperata da una chiusura del cerchio che sarebbe stato meglio sospendere di più. Dopo le esitazioni di una prima metà troppo affidata al naturale istrionismo di un Denzel Washington che non può non mettere in ombra l’attor giovane, il regista accosta momenti di spiccata e quasi coreografica violenza a intelligenti variazioni dei più duraturi luoghi comuni del genere. Se Vera Farmiga interpreta il solito ruolo risoluto, la scelta di casting più azzeccata è quella del grande Sam Shepard, monolitico e finissimo nel suo aggiungere spessore ad ogni momento in cui appare.