Automata

2044 la Terra sta andando verso la desertificazione e l’umanità lotta per la sopravvivenza in un ambiente divenuto ostile. La razza umana coesiste con i robot, creati per supportare la condizione di una società in declino. L’agente assicurativo Jacq Vaucan (un gran bravo Antonio Banderas), che lavora per una società di robotica, la Roc Robotics Corporation, indaga su androidi difettosi. Durante una delle sue indagini scopre che alcuni robot si sono evoluti, diventando una possibile minaccia per l’umanità.

A questo punto dopo aver visto Automata, Eva e The last days devo ammettere che la fantascienza spagnola non è niente male, c’è principalmente Asimov nel bagaglio intellettuale di Automata al contrario di Humandroid e il film non fa nulla per fingere che non sia così. Le leggi che regolano il comportamento dei robot non sono esattamente quelle auree fissate dallo scrittore russo ma prendono le mosse dai medesimi princìpi per arrivare là dove solitamente ci si spinge quando si parte dal presupposto che le intelligenze artificiali non devono danneggiare l’uomo: che cosa succede se invece avessero dei motivi per farlo? Motivi simili a quelli che hanno gli uomini per danneggiare altri uomini.
Non solo, ai principi di Asimov affianca anche le idee di Battlestar Galactica, Ex_MachinaGhost in the Shell riguardo la disperata speranza di una forma di evoluzione come conseguenza della più classica delle prese di coscienza da parte degli automi, l’aspirazione delle macchine a diventare razza e migliorare con le diverse generazioni in un mondo che li disprezza e li considera inferiori.

Automata, al netto di qualche eccessiva lungaggine, ha il coraggio di fondare (in parte) una propria mitologia a partire dagli spazi e andando a concludersi nelle immensità che sanno di morte per affermare che qualcun altro lì può trovare un domani migliore, guadagnarsi il diritto ad una vita e a dei sentimenti.