Quando i romani andarono in america

copertinaromani_oqvjt.jpgQuando i romani andavano in AmericaElio Cadelo, Palombi Fratelli.
E’ appena uscito un bel libro di fantarcheologia (come ai tempi del sognatore Peter Kolosimo) che spiega come scoperte archeologiche e letterarie di età classica provano che i Romani visitarono l’America prima di Colombo: nuove terre ad Ovest e numerosi manufatti ritrovati dimostrano che tra le due sponde dell’oceano Atlantico ci furono scambi.

 

I Romani furono anche grandi navigatori: ad Est commerciavano con l’India, la Cina e l’Indonesia, e le loro esplorazioni andarono ben oltre la Nuova Zelanda; navigarono lungo le coste atlantiche dell’Europa raggiungendo le Orcadi, l’Islanda e forse oltre. In Africa sono state trovate tracce della presenza romana lungo le coste occidentali e orientali. Le testimonianze storiche prese in considerazione non lasciano alcun dubbio: in età imperiale i navigatori al servizio di Roma avevano acquisito le conoscenze nautiche e geografiche necessarie per giungere in America.

Il volume espone in maniera chiara ed accessibile il livello raggiunto dalla cultura scientifica nel mondo antico, in particolare per quanto riguarda l’astronomia, la matematica e la geografìa. L’autore esamina anche diverse culture che con il mare ebbero un rapporto importante come quella babilonese, quella indiana e quella polinesiana e dimostra che la civiltà si diffuse in tutto il mondo grazie ai commerci marittimi.
Testi alla mano di Plinio, Cicerone, Plutarco, Lucrezio, Tolomeo, Seneca, Diodoro Siculo, e quant’altri, Cadelo spiega che gli antichi Romani, ma anche i Greci, gli Indiani ed i Babilonesi, erano al corrente che il mondo fosse una sfera che “galleggiava” nell’universo. E tutti, anche prima che Aristotele lo scrivesse, erano certi che si potesse raggiungere l’India navigando verso Ovest.
“I Romani avevano un porto commerciale in India, Arikamedu, dove ogni anno, in età Imperiale, approdavano 150 navi mercantili scortate da navi militari romane. Sulla tomba di Augusto, a Largo Augusto Imperatore a Roma, è scritto: “Incrementò i traffici con l’India”. Ma navi romane giunsero in Cina. Sappiamo che San Paolo andò in Cuna a predicare il Cristianesimo, e a Canton è stata trovata un’agenzia di cambio del II secolo d.C.. Sappiamo che navi romane giunsero in Indonesia dove si procuravano il pepe (che valeva più dell’oro) e spezie. Ma tracce della presenza romana sono state trovate in Corea, in Nuova Zelanda, e sappiamo che raggiunsero l’Australia.
Nel libro ci sono una quantità impressionante di prove, cominciando dalla copertina in cui è raffigurata una statua romana del III secolo con un ananas in mano. E rimanendo sull’ananas ne ho trovate raffigurate a Pompei, una a Roma, e così via. Insomma da sole sarebbero sufficienti a dimostrare che tra le due sponde ci furono contatti, anche se non continui. Ci sono brani della letteratura del ‘500 in cui si parla del ritrovamento di tombe romane in America, e sono descritte puntualmente. Poi abbiamo la presenza del mais prima che Colombo lo importasse ufficialmente. Plinio ne parla e dice che era molto coltivato nella pianura Padana. Ma poi c’è la prova principale che è il planisfero di Claudio Tolomeo nel quale dimostrò che è rappresentata la costa del Sud America e che la città di Cattigara (che significa porto dei cinesi) era frequentato perché da lì si importava l’oro da tutto l’Oriente ma anche dal Mediterraneo ed è proprio Tolomeo a indicarci la rotta per giungere in America da quella parte”.

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