Da Tree of life a Matrix, quando il cinema è poesia e filosofia

Da sempre il sottoscritto ha una vera predilezione per i film che fanno “pensare”, mi spiego meglio, mi riferisco a quelle opere che trascendono il periodo in cui vengono girate e che grazie al loro linguaggio universale sono capaci di parlare a tutti gli spettatori, che una volta usciti dal cinema si sentono addirittura cambiati nella loro anima, in quanto intimamente toccati dall’opera che hanno visto.

Sono pochi i film che hanno questa valenza, uno ad esempio è Inception, capolavoro di Chistopher Nolan che è autore anche del bellissimo Memento film che è stato addirittura citato dal Cardinale Angelo Scola, che per chi non lo conoscesse è il nuovo arcivescovo di Milano e che per spiegare cos’ è il desiderio di Dio cita disinvoltamente Matrix e Von Balthasar, Sant’ Agostino e i fratelli Coen. Inoltre giustamente ha dichiarato che il cinema è la lingua franca della nostra società. È un mezzo formidabile per indagare la verità sul mondo. Spalanca la nostra esperienza in modo assai spesso più efficace di tanti discorsi e di tanti libri.

Vi propongo di seguito due riflessioni, la prima appunto del Cardinale Angelo Scola, la seconda di Davide Sapienza , buona lettura.

Arcivescovo Angelo Scola:
«Molti di voi avranno visto Matrix, il celebre film dei due fratelli polacchi Wachowski. […] In Matrix
– dice Scola – viene descritto il nostro mondo di tutti i giorni, ma si fa l’ipotesi che sia solo un paravento per nascondere la realtà vera. Quale sarebbe? L’umanità sopravvissuta dopo un disastroso evento cosmico, per continuare ad esistere ha avuto bisogno di speciali macchine. E queste hanno finito per prendere il sopravvento. E chi le controlla ha preso il potere. L’umanità quindi vive nell’illusione. Gli uomini non sono più liberi. Nessuno è a conoscenza del tempo che è passato da quando il potente neurosimulatore Matrix ha assegnato una data fittizia allo scorrere della storia. Solo Neo, con l’aiuto del pirata informatico Morfeo e della bella Trinity, può tentare di scoprire la verità e far ritrovare agli uomini la libertà. In cosa consiste la verità? Lo dice con chiarezza Morfeo accogliendo Neo sulla sua bislacca nave in lotta per la libertà: “Benvenuto nel mondo reale”. Riflettiamo un istante su questa affermazione in cui sono presenti due elementi fondamentali. Il primo è identificato dall’espressione mondo reale, cioè le cose come veramente sono. Quelle che i miei sensi percepiscono – questo bicchiere, il microfono, il cielo, il mare – e quelle di cui mi offrono qualche indizio perché la mia intelligenza possa riconoscerli: lo sguardo di chi ho di fronte, il sorriso dei figli, il volto dell’amata, il gusto del lavoro, la sofferenza per il male fisico, il dolore per quello morale, la paura della morte, l’angoscia annoiata del vivere senza senso… Il mondo reale appunto! Ma l’affermazione di Morfeo contiene anche un altro decisivo fattore, concentrato nella parola composta: “Benvenuto”. È bene che tu Neo sia entrato nel mondo reale: è bene per te, ed è bene per noi! Non è forse questo il senso dei primi sorrisi di una madre al suo bambino? Sorrisi che questi impara subito a ricambiare. Cosa significano se non “è bello che tu sia venuto al mondo (reale), è bene per te, è bene per tutti”? Nessuno sfugge a questa esperienza.
Al mondo reale io mi rapporto sempre e inevitabilmente secondo quella dinamica, tipicamente umana, che possiamo identificare col termine desiderio. Non si comprende la parola desiderio, tanto meno se si parla di desiderio di Dio, se non la si concepisce come il tendere di tutto il mio io all’incontro, inevitabile ed insuperabile, con il mondo reale. Infatti, secondo la definizione semplice ma completa del vocabolario, desiderio è il “volgersi con affetto a qualcosa che non si possiede e che piace”. Vedete che, come in una calamita, sono sempre presenti due poli. La dinamica del desiderio implica sempre e inseparabilmente la cosa che non si possiede e che piace e il volgersi ad essa con affetto. Sottolineo “con affetto”, vale a dire con la mente, col cuore, con la totalità del nostro io. E Dio che c’entra? Ve lo dico con una citazione formidabile, tra le più potenti di tutta la storia del pensiero, che si trova in un grande libro, ancora oggi, dopo 1600 anni, il più ristampato (se si toglie la Bibbia). «Tu ci hai creati per te ed il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te”» [Agostino di Ippona, Confessioni I, 1]. Agostino usa la parola cuore per esprimere il desiderio nella sua ampiezza totale costituita dai due poli prima identificati: l’io che anela all’infinito nell’incontro con la realtà totale. […] Potremmo dire che la natura piena del desiderio è rivelata in ognuno di noi dal cuore. Il cuore quindi è ciò che ci permette di volgerci con affetto a ciò che non si possiede. Soprattutto alle cose grandi! E cosa c’è di più grande di Dio?».

Davide Sapienza, amico dell’avventura e anche del nostro blog, scrittore, traduttore, giornalista e viaggiatore italiano definisce sul suo Corriere di Ognidove in modo mirabile la visione di un film complesso come Tree of life di T. Malick.

Davide Sapienza:
È davvero giusto che io abbia visto The Tree of Life, il film di un poeta che cerca di esprimere la profondità della vita usando gli occhi. È giusto perché adesso anch’io conosco quello che viene dopo di me, oltre che ciò che stava prima, nel mio albero della vita. Mai come ieri sera e questa notte, nel sognare, ho capito l’inutilità dei giudizi. Non contano nulla, davanti ai film di Malick. Il giudizio, l’opinione, siamo noi nel momento in cui, davanti allo schermo, diventiamo il film.

Ci sono tre momenti, tre dichiarazioni fondamentali, e sono tutte nei primi minuti della pellicola: la voce della donna, fuori campo, racconta da dove viene, il suo albero della vita e racconta della scelta che si deve fare nella vita. È la scelta tra la via della Natura, e la via della Grazia. È una grande provocazione, questa di Malick. Perché? Vedete il film, sentitelo, e capirete cosa intendo. Ci vorrà tempo per capire questa affermazione.

La sua sintesi viene poco dopo, quando il primogenito, ormai adulto, calato in un contesto post moderno riflette durante un normale giorno di lavoro in un’asettica grande azienda, in un grande grattacielo: “il mondo è sottosopra, sono tutti posseduti dall’avidità”. Così, con una semplicità quasi banale, Malick fa dire al figlio della vita che ha vissuto più tormento da bambino, la dicotomia che tra Grazia e Bellezza non dovrebbe esistere – ma che invece ha cittadinanza nell’universo immenso, cinematograficamente rivoluzionario, di Malick.

Dentro il film c’è un lunghissimo tempo affidato affidato alla Natura e alla Grazia, un tempo diverso, fatto solo di suoni dell’universo intero: l’acqua, la lava, gli animali preistorici, il vento, il silenzio, il mare. Tutto è senza nome, direi quasi che non conta dove, perché non c’è dove ma solo un Qui e Ora. E come ogni qui e ora, riflette l’eternità insondabile. È questo tempo universale a creare la scissione con il tempo dell’uomo, il tempo dello vicenda di una tipica famiglia americana del boom economico del dopoguerra, dove la delusione e l’ambizione erodono l’ordinata superficie attraverso il disagio crescente dei figli piccoli e quello stato di grazia religioso e quasi ottuso della madre, che vive la sua personale battaglia convinta dell’idea che perdonare e amare tutti sia l’unica via. La stessa madre che soffre terribilmente la perdita di un figlio, così terrena e carnale, è colei che conduce al tempo eterno, alla riflessione sul passaggio breve che ci è in dote su questa terra.

Tutto, quindi, alla fine torna all’altro tempo, quello che non scorre e che noi possiamo solo ammirare, oppure temere, o ancora fingere di non conoscere. L’uomo è al centro della vita dell’uomo, ma di sicuro non è al centro della vita della Vita.

Come sia possibile, attraverso l’ammirazione dell’universo e del suo tempo immobile, giungere a certe conclusioni che sono tappe sempre più nuove e sempre più concrete del Cammino di cui non conosciamo la meta, sembra essere il mistero a cui allude Malick, ancora una volta – proprio come in La sottile linea rossa, e nell’innesto genetico avvenuto nell’uomo in vicende come quella raccontata in Il nuovo mondo. The Tree Of Life è talmente vasto che uscire dal cinema e fare la lunga strada verso casa, diventa silenzio e anche tempo immobile. Una sottile linea rossa che ci separa dal nuovo mondo, sull’albero della vita.

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