Un giorno della mia vita. L’inferno del carcere e la tragedia dell’Irlanda in lotta


La storia di Bobby Sands è stata raccontata dal film Hunger

Un giorno della mia vita. L’inferno del carcere e la tragedia dell’Irlanda in lotta, Bobby Sands, Feltrinelli.
L’irlanda è una nazione che amo molto, percui ho deciso di segnalare ogni tanto opere ispirate dalla sua storia che mi hanno colpito, e non potevo esimermi dall’iniziare da quella di uno dei suoi ultimi eroi, Bobby Sands (come Pádraig Pearse poeta e martire).
«Sono un prigioniero politico perché sono l’effetto di una guerra perenne che il popolo irlandese oppresso combatte contro un regime straniero, schiacciante, non voluto, che rifiuta di andarsene dalla nostra terra». Queste parole sono tratte da Un giorno della mia vita, di Bobby Sands, uno dei dieci detenuti repubblicani irlandesi che nel 1981 si lasciarono morire di fame nel carcere di Long Kesh, a pochi chilometri da Belfast, per ottenere il riconoscimento dello status di prigionieri politici. Uno stillicidio di vite voluto con freddo e cinico calcolo dal governo britannico dell’allora primo ministro Margaret Thatcher, nel tentativo di minare la lotta repubblicana all’interno e all’esterno del carcere.
Durante i primi diciassette giorni del suo ultimo sciopero della fame Bobby Sands comincia a tenere un diario e scrive quotidianamente usando un refil di penna biro e dei pezzetti di carta igienica. Ogni singolo segmento del diario viene fatto uscire dal carcere firmato con lo pseudonimo “Marcella”. Il libro che ne deriva è una impietosa testimonianza sulla vita dentro il carcere, una dolorosa riflessione sulla lotta in corso e una professione di speranza.
Una cella nuda e fetida, i muri imbrattati di sporcizie, un materasso gettato per terra, in un angolo rifiuti ed escrementi. Afflizioni quotidiane da parte di topi, vermi, secondini brutali e brutalizzanti. Per sollievo le voci dei compagni rinchiusi nelle celle vicine, e il canto degli uccelli oltre le sbarre: chiurli passeri storni corvi gabbiani. Questo lo ‘scriptorium’ da cui emergono i testi di Bobby Sands, militante dell’Ira. Parole tracciate con un refill di penna biro su pezzi di carta igienica. Frammenti del diario intimo, spirituale e politico, di un uomo che rifiuta le più basilari consuetudini umane (lavarsi, vestirsi, curarsi, mangiare) per stigmatizzare il caos dello stato delle cose. Per chiedere che la guerra che lo ha coinvolto fin dall’adolescenza sia perlomeno riconosciuta come tale, una guerra, invece di essere dissimulata nell’immagine paradossale di un normale regolamento di conti tra criminali comuni e legittime autorità.

«Sono in piedi sulla soglia di un altro mondo tremante. Che Dio abbia pietà della mia anima»

Il libro, curato con passione e intelligenza da Silvia Calamati, raccoglie tre testi di Sands. Il primo, che dà il titolo alla raccolta, è stato scritto alla fine degli anni settanta, durante la ‘blanket protest’, quando i prigionieri politici rifiutavano il corredo previsto per i detenuti comuni e accettavano solo una coperta e un materasso (nella stessa traduzione di Calamati era già stato pubblicato dalle Edizioni Associate nel 1989). Il secondo, “L’allodola e il combattente per la libertà”, è una lettera-articolo del febbraio 1979 (qui tradotta per la prima volta) diretta ai compagni fuori del carcere. Il terzo è il diario dei primi giorni di sciopero della fame, dal 1| al 17 marzo 1981 (già tradotto da Francesca Wagner e pubblicato in “L’illustrazione italiana”, nel dicembre dello stesso anno, ma senza i brani in gaelico, tradotti e integrati in questa nuova edizione). Il tutto è preceduto da un’introduzione (già presente nella traduzione dell’89) di Sean MacBride, membro fondatore di Amnesty International, premio Lenin per la Pace nel 1971, premio Nobel per la Pace nel 1974. A completare il volume stanno una dettagliata cronologia del conflitto nord-irlandese per il decennio 1971-81 (non la solita inutile lista di attentati e arresti), e un efficace apparato di note.

La vicenda di un recluso che s’impone una disciplina severissima. Un percorso interiore che attraversa l’odio, lo allontana da sé, e con serenità e determinazione impressionanti si avvia al confronto estremo. Un brano della lotta per i diritti umani e civili. Un segmento cruciale della storia dell’Irlanda contemporanea. Questi sono gli argomenti di un libro che non offre gradevolezza, ma che vivifica la capacità di conoscere e di tenere a mente. Perché noi del “primo mondo”, abituati alla distanza esotica in cui generalmente si stagliano le grandi atrocità, sempre più difficilmente ci accorgiamo dei macroscopici misfatti che si compiono nelle vicinanze, nella civilissima Europa. Ne perdiamo presto la memoria, anche quando ci vengono mostrati nell’immediato con valanghe di immagini. Per vedere non basta avere occhi. Se l’oggetto è troppo grande e troppo vicino, scompare. Così sta avvenendo per la Bosnia, e soprattutto per la “seconda guerra” di Bosnia. Così avviene, da tempo, per l’Irlanda del Nord (una rara affinità lega i quartieri “cattolici” di Belfast, degradati dall’occupazione britannica, a quelli di Mostar est, distrutti dai “cattolici” dell’Hvo).
E tra le storie d’Irlanda quella di Bobby Sands è una delle più difficili da rammentare. Nasce in una famiglia proletaria della periferia di Belfast, nel 1954. Si avvicina all’Ira all’indomani del Bloody Sunday (30 gennaio 1972, a Derry l’esercito spara sulla folla di una pacifica manifestazione per i diritti civili: 14 morti). Lo arrestano una prima volta nell’ottobre dello stesso anno, per la semplice appartenenza all’organizzazione. Uscito di galera, nell’aprile del ’76, si dedica all’aiuto delle famiglie che cercano rifugio a Twinbrook, il suo quartiere, essendo state cacciate dalle zone “protestanti”. Dopo appena sei mesi lo arrestano di nuovo, a bordo di un’automobile in cui viene rinvenuta un’arma, non molto distante dal luogo in cui è saltato in aria un negozio (un’esplosione che non fece vittime). È plausibile pensare che abbia preso parte all’attentato. La sentenza non ha dubbi: senza ulteriori elementi di prova lo condannano a quattordici anni di reclusione. Ne sconta meno di cinque. La sua militanza termina nel carcere speciale di Long Kesh, la notte tra il 4 e il 5 maggio 1981, con la morte per fame.

Breve filmografia politica d’Irlanda:
• Hunger
• Una scelta d’amore
• Bloody Sunday
• Michael Collins
• Nel nome del padre
• La moglie del soldato
• L’ombra del diavolo
• Una scelta d’amore
• The boxer
• Il vento che accarezza l’erba, di Ken Loach
• L’agenda nascosta, sempre di Ken Loach

Breve biblioteca politica d’Irlanda:
• Bobby Sands, Un giorno della mia vita
• Gerry Adams, Prima dell’alba
• Joe Cahill, Una vita per la libertà
• Gerry Adams, Strade di Belfast
• Silvio Cerulli, Irlanda del Nord
• Silvia Calamati, Figlie di Erin. Voci di donne dell’Irlanda del Nord
• Silvia Calamati, Irlanda del Nord. Una colonia in Europa
• Ed Moloney, La storia segreta dell’IRA
• Robert Kee, Storia dell’Irlanda

“Risolvete, o saggi uomini, quest’ enigma:
Che accadrà se il sogno si avvera?
E se milioni di non nati dimorassero
Nella casa cui ho dato forma nel mio cuore,
La nobile casa dei miei pensieri?
Fu follia o grazia?
Non saranno gli uomini a giudicarmi
Sarà Dio’.
Pádraic H. Pearse

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