La ricezione moderna della battaglia di Maldon. Tolkien, Borges e gli altri

Borges riposa sotto una lapide di pietra grezza di colore bianco che sulla parte superiore riporta solo il suo nome mentre più in basso è scritta in inglese antico la frase «And ne forhtedon na» («giammai con timore») tratta dalla Battaglia di Maldon, un poema epico del X secolo.

La battaglia di Maldon (Già pubblicata da Roberto Rosselli del Turco nel 2009 per le Edizioni dell’Orso), questo poemetto scritto non si sa quando né da chi per celebrare il sacrificio dei guerrieri inglesi e del loro capo Byrhtnoth (Beorhtnoth nella grafia di Tolkien) caduti nel 991 nel tentativo di fermare a Maldon, nell’Essex, un’incursione scandinava occupa un posto del tutto particolare nella moderna riflessione sull’eroismo.

Sia Borges che Tolkien lavorano sul testo anglosassone sottoponendolo a un lavoro interpretativo, entrambi ne forzano il senso piegandolo alla propria visione, ed entrambi sentono quindi l’esigenza di scrivere un epilogo letterario che dia forma al loro modo di intendere il racconto. È interessante che le forzature di Borges e di Tolkien si realizzino in due direzioni diametralmente opposte. Già in una lezione tenuta nel 1966 (e pubblicata in Italia da Einaudi nel volume La biblioteca inglese) Borges presentava l’esercito inglese a Maldon come un’accozzaglia di contadini male equipaggiati e male addestrati, che affrontava senza speranza di vittoria una banda di terribili vichinghi guidati dal grande re norvegese Olaf Tryggvason (e Borges ricorre qui ai soliti luoghi comuni della descrizione dei vichinghi, comprese la sciagurate corna sugli elmi che mai un vichingo si sarebbe sognato di portare in battaglia). Quanto più disperata la situazione degli inglesi, tanto più grande – nella visione di Borges – è il loro eroismo, e questa idea centrale ritorna nel breve racconto 991 A.D., contenuto nella raccolta La moneta di ferro, del 1976: dieci superstiti della battaglia, “uomini dell’aratro e del remo”, si ritrovano ai margini della pineta. Il più vecchio di loro, Aidan, ripercorre i fatti della giornata, commenta la decisione di Byrhtnoth di consentire lo sbarco dei vichinghi e  avanza la supposizione che l’abbia fatto per spaventare gli invasori con la sua fiducia, pronuncia parole di sdegno nei confronti dei vili che sono fuggiti dal campo di battaglia e conclude quindi proponendo che il manipolo dei sopravvissuti preceda i vichinghi al villaggio e cada nell’ultima difesa, poiché “non possiamo sopravvivere al nostro signore”. Prima di concludere il suo discorso, tuttavia, Aidan ordina al figlio Werferth di non seguirli nel combattimento, il suo compito sarà diverso, dovrà assicurare la memoria dell’evento “affinché la giornata di oggi perduri nella memoria degli uomini”.

Borges, quindi, riprende e attualizza la visione tradizionale e vulgata dell’etica germanica: il dovere di dare la vita per il proprio signore, l’onta di sopravvivergli, l’importanza della memoria tramandata nel canto. Ha buone ragioni per farlo, la stessa Battaglia di Maldon gli suggerisce le parole: “L’animo sia tanto più fermo, / il cuore più audace, // il coraggio tanto maggiore, / quanto più diminuiscono le nostre forze. // Qui giace il nostro comandante, / segnato da crudeli ferite, // il nobile signore, nella polvere. / Possa pentirsi in eterno // chi ora pensa di ritirarsi / da questa schermaglia di guerra” recitano i famosi versi 312-316 del poemetto. Che per far questo Borges trasformi i guerrieri di Maldon in contadini male armati è tutt’altra faccenda.

Del tutto diversa, come si diceva, è l’operazione di Tolkien. Per Tolkien tutta l’interpretazione del poemetto deriva dai versi 89-90: “Allora il Conte, / mosso dall’orgoglio, // concesse fin troppo terreno / a quel popolo odioso”. Quell’ofermod anglosassone (orgoglio, nella traduzione di Rosselli del Turco) è secondo Tolkien overmastering pride e implica una netta condanna di Byrhtnoth da parte del poeta. Da qui, dunque, prende l’avvio la sua lettura anti-eroica dellaBattaglia di Maldon (e, nel corso dell’argomentazione, anche di Beowulf), lettura che prende poi forma drammatica nel dialogo che costituisce la seconda parte del suo testo. Diciamo subito che l’interpretazione di Tolkien è filologicamente insostenibile, cosa che viene ben messa in rilievo da Shippey (che è sia studioso di Tolkien che di letteratura inglese antica) nel saggio che chiude il volume.

Tuttavia, questa sovra-interpretazione, questa  forzatura di Tolkien che mira a far dire al testo qualcosa che in esso non si trova, è di particolare interesse per ricostruire il suo rapporto con il Medioevo, la sua letteratura e la sua ideologia (anzi, le sue ideologie, usando questo termine nel suo senso più ampio di visioni più o meno consapevoli del mondo). E, di conseguenza, per studiare l’universo letterario di Tolkien che, nel suo complesso, appare la reinvenzione di un Medioevo “altro”. Che Tolkien fosse innamorato del Medioevo, e in particolare del Medioevo germanico, è cosa nota, ma Il ritorno di Beorhtnoth mette in evidenza la complessità di questo amore, amore per qualcosa che si vorrebbe ci fosse, ma che non c’è. Reinterpretando in chiave anti-eroica La battaglia di Maldon, Tolkien sposta all’indietro, nel passato, la critica alla concezione eroica della tradizione germanica, e compie così  una evidente mossa anacronistica. L’eroismo puro, non finalizzato alla gloria, non motivato dal desiderio di entrare nei canti che Tolkien vagheggia nel suo saggio non ha posto nella letteratura epica del Medioevo germanico. Naturalmente un eroismo del genere esisteva, ma il suo posto era nell’agiografia, proprio quel genere letterario che Tolkien non intende utilizzare, nella sua opera creativa, per non rendere trasparente e invadente un messaggio religioso cristiano che doveva invece insinuarsi tra le pieghe della narrazione.

La ricezione moderna della battaglia di Meldon. Tolkien, Borges e gli altri di Verio Santoro, Aracne Editrice.
Questo studio vuole mettere in risalto la fortuna “extra accademica” della Battaglia di Maldon dalla metà circa del XX sec. fino ai nostri giorni e vuole, attraverso un’analisi della sua riutilizzazione e riscrittura, costituire l’occasione per ripensare i principali problemi del testo. Se pur non confrontabile, per presenza e intensità, all’impatto culturale raggiunto da altre attualizzazioni e riscritture di più noti testi medievali germanici – si pensi soltanto al Beowulf e al ciclo nibelungico – la rielaborazione e riutilizzazione della Battaglia di Maldon presenta dalla metà del secolo scorso caratteristiche interessanti e originali. Alle continuazioni prolettiche di Tolkien e Borges, che già da sole conferiscono alla Battaglia di Maldon un primato che non ha l’eguale nella storia della ricezione contemporanea di nessun altro testo medievale di area germanica, si aggiungono numerose e variegate rielaborazioni e citazioni che spaziano dal romanzo storico al romanzo fantascientifico, dalla poesia a più recenti adattamenti musicali

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