The purge: Anarchy

Il successo inatteso del film di Demonaco del 2013 – 89 milioni di dollari di incasso a fronte di una spesa di 3 – porta a un sequel in cui, nonostante il budget maggiore a disposizione, le star sono totalmente bandite (nel primo episodio c’era Ethan Hawke).

Anche se c’è un immenso Frank Grillo che qui ricorda lo Kyle Reese di Michael Biehn, un’eroe suo malgrado che buca veramente lo schermo.

L’enfasi è posta infatti totalmente sul più classico canovaccio da narrazione tradizionale: premessa, missione e discesa agli inferi, salvezza (e maggiore consapevolezza). Non manca nessuna delle figure archetipiche del cinema post-carpenteriano: l’eroe rude con un passato misterioso, la ragazza impegnata e coraggiosa e gli inevitabili agnelli sacrificali, destinati a un’esistenza breve come quella dei “pigiami rossi” di Star Trek. Realizzato evidentemente senza ambizioni che non vadano oltre la celebrazione del B-movie apocalittico, in cui le idee di una sceneggiatura a briglia sciolta contano assai più della caratterizzazione dei singoli personaggi. E in cui trova spazio un’idea antica, anni Ottanta, di riflessione socio-politica su un futuro distopico, quella che guarda allo scontro di classe e al destino sempre più avverso dei ceti meno abbienti. Echi del Carpenter di 1997 – Fuga da New York e del Brian Yuzna di Society, come di Snowpiercer o In Time, che Demonaco sintetizza in novanta minuti di thrilling che sfiorano il ridicolo ma senza cedere di un passo nella propria ortodossia. Proprio questa dedizione alla causa di un B-movie che non esiste più, soppiantato dalle serie Tv, porta automaticamente a simpatizzare con Demonaco (non a caso già sceneggiatore di un remake di Carpenter) e a sorvolare sui non pochi scivoloni di Anarchia – La notte del giudizio.

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