Maze Runner

Sempre in tema distopie, scrivo a caldo le mie impressioni. Come qualcuno ha scritto è difficile immaginare qualcosa di più derivativo e citazionista di Maze Runner, che supera ogni predecessore (vedi Hunger Games) quanto a summa di esempi di universi distopici rielaborati. Il film si rifà al bestseller di James Dashner, primo di una trilogia. Ed è abbastanza comprensibile comprendere il suo successo, legato a filo doppio ai bisogni di una generazione assetata di eroi e ignara di tutto ciò che c’è stato prima.
Basti sapere però che si tratta di un film alla Cube (di Vincenzo Natali, per l’enigma del labirinto) che ha un’estetica da videogame, con mostri e ambienti simil Doom, uno spirito da naufraghi alla Lost, una nuova micro-civiltà di ragazzi come ne Il signore delle mosche, con un’umanità in disfacimento alla Pianeta delle scimmie e succube delle macchine (vedi Matrix), un’illusione di un eden menzognero alla The Village di Shyamalan e con miracolosi sopravvissuti alla Fuga di Logan centrifugati in salsa Young Adult e asserviti alle esigenze della serialità odierna.

La forza dell’intreccio ha infine la meglio e si dimostra sufficiente (con l’aiuto di un buon cast Dylan O’Brien da Teen Wolf, Katia Scodelario, Thomas Sangster da The game of thrones, Aml Ameen da Sense8) a condurre lo spettatore fino all’agognato finale (con cliffhanger al secondo episodio La fuga – Maze Runner , la cui uscita nelle sale italiane è prevista l’8 ottobre 2015). Come vuole il mondo delle serie Tv, di cui The Maze Runner è un chiaro fratellastro (vedi The 100), il primato è dello storytelling ancora una volta.

Trama:
Quando Thomas si risveglia, le porte dell’ascensore in cui si trova si aprono su un mondo che non conosce. Non ricorda come ci sia arrivato, né alcun particolare del suo passato, a eccezione del proprio nome di battesimo. Con lui ci sono altri ragazzi, tutti nelle sue stesse condizioni, che gli danno il benvenuto nella Radura, un ampio spazio limitato da invalicabili mura di pietra, che non lasciano filtrare neanche la luce del sole. L’unica certezza dei ragazzi è che ogni mattina le porte di pietra del gigantesco Labirinto che li circonda vengono aperte, per poi richiudersi di notte.