Il primo Re

Romolo e Remo, letteralmente travolti dall’esondazione del Tevere, si ritrovano senza più terre né popolo, catturati dalle genti di Alba. Insieme ad altri prigionieri sono costretti a partecipare a duelli nel fango, dove lo sconfitto viene dato alle fiamme. Quando è il turno di Remo, Romolo si offre come suo avversario e i due collaborando con astuzia riescono a scatenare una rivolta, ma è solo l’inizio del loro viaggio insieme agli altri fuggitivi e a una vestale che porta un fuoco sacro. Sapendo di avere forze nemiche sulle proprie tracce decidono di sfidare la superstizione e si avventurano nella foresta, dove Remo dà prove di valore e conquista la leadership del gruppo, mentre Romolo può fare poco altro che riprendersi da una ferita. Quando a Remo viene letto il destino dalla vestale, lui decide di sfidare il volere degli dèi.

Il primo re era un film che aspettavo da parecchio essendo un grande ammiratore del lavoro di Matteo Rovere, una delle poche speranze di rinascita del cinema italiano insieme a Gabriele Mainetti e Andrea De Sica. Veloce come il vento era stato un film a mio parere epocale, di quelli che in Italia non avrei mai creduto di vedere. Ma con questo film Rovere si è superato, si tratta di un autentico capolavoro. Personalmente ritengo sia tutto ai massimi livelli, la sceneggiatura, la fotografia, la colonna sonora, gli attori, la regia, tutto magnifico.

Così ne scrive il maestro Gianni Canova:”Quando le città non esistevano ancora. Quando gli uomini erano in balia dell’acqua e del fuoco. Quando la natura incuteva terrore e gli dei sapevano essere feroci. È in questo mondo arcaico e brutale che si svolge Il primo Re di Matteo Rovere (Veloce come il vento): una rilettura sorprendente della leggenda di Romolo e Remo che si colloca a pieno titolo al livello di produzioni come Revenant o Il trono di spade. Linguaggio potente, respiro furente. Corpi incrostati di fango e di sangue. Ovunque minacce, insidie, agguati. La vita come lotta quotidiana per la sopravvivenza. E un proto-latino arcaico come lingua della comunicazione. Finalmente un film che fa spiccare il volo al nostro cinema e lo porta in un colpo solo dentro quella dimensione epica che non ha mai avuto. Tutto è perfetto, dalla fotografia di Daniele Ciprì, che sa come rendere visibile il sentimento della paura di fronte all’ignoto, alla recitazione di Alessandro Borghi, che trova con questo ruolo – feroce, dolente, sofferto – il suo posto definitivo nella storia del cinema. Ma non è lui il primo Re. Lui è Remo: il fratello guerriero. Quello più forte, più tenace, più spaventoso. Ma non basta la forza per essere Re. Ci vuole anche la pietas. Suo fratello Romolo ce l’ha, lui no. Quindi vince Romolo. Anche se – ci ricorda Rovere – noi siamo l’unica cultura occidentale che ha come mito fondativo un fratricidio: non osiamo mai sfidare il Padre, la Legge, il Potere. Preferiamo ammazzarci tra pari. Seppur ambientato quasi tremila anni fa, in qualche modo Il primo Re parla anche di noi.