Melancholia (vs Tree of life)


Quest’anno i capolavori assoluti di due grandi registi mi hanno subito ricordato le due facce di una stessa medaglia: Melancholia di Lars Von Trier e Tree of Life di Terrence Malick.

Primo elemento di contatto è il fatto che come in Tree of life anche in Melancholia c’è un prologo “cosmologico” freddo e bellissimo: la cosa davvero geniale e magistrale del film nel quale è fondamentale la colonna sonora. Qui si tratta niente meno che del Tristano e Isotta di Wagner, usato ripetutamente nel corso del film come leitmotiv. In Tree of life invece Lacrimosa del musicista polacco Zbigniew Preisner noto al pubblico per le colonne sonore dei film di Kieslowski.

L’ambientazione di Melancholia è un metafisico castello, che ricorda L’anno scorso a Matrienbad di Alain Resnais, da qualche parte nel nord europa circondato da una depressione cosmica nichilista e da una mesta accettazione della propria fine (dell’intera umanità) contrapposta invece all’assoluzione e alla speranza mistica di Tree of life.

Non c’è nulla di buono nel mondo sembra dire il regista, ma Melancholia non è un film disperato, al contrario è un’opera lucidissima proprio grazie al suo creatore che nell’opera corrisponde al personaggio di Justine, la sposa, lei, infatti, è capace di rendersi conto delle cose andando oltre la paura per arrivare all’accettazione della propria fine mentre mostra come tutto ciò che fa parte dell’uomo risulti così inutile e privo di senso.
Le azioni e gli interessi dei personaggi appaiono ridicoli in confronto ai moti che governano l’universo, la stessa Justine, la protagonista, nella sua malinconia mostra come tutto ciò che la circonda, partendo dalla festa del suo matrimonio, sia futile e di poco interesse. Le convenzioni umane risultano così misere e prive di significato, i soldi, il lavoro, la casa divengono solo elementi d’infinita insignificanza; è solamente con l’arte che l’uomo dimostra la propria grandezza (esattamente come per Malick), ed è solo attraverso l’uso dell’immaginazione che egli esiste. Ma al contrario del regista statunitense, Lars von Trier, rappresenta anche quest’elemento venduto, sfruttato nella sua grandiosità e risucchiato dall’avidità dell’uomo.

Malick invece decide di partire dal particolare, dalle azioni semplici, dai singoli gesti che compongono la vita quotidiana per realizzare la sua fantasmagorica raffigurazione della vita e dell’esistenza; da questi piccoli elementi l’autore arriva all’universale, accogliendo a sé addirittura l’inizio di tutto ciò che ci circonda. 
Uno stesso continuum in cui l’esistenza umana è una piccola parte del tutto in quanto nell’anima di ogni essere umano si mescola l’anima del mondo.
Seppure la sequenza che vede la genesi dell’universo è posta all’inizio, con citazione di Giobbe (38:4,7) rappresentazione biblica del giusto che soffre senza colpa, è chiaro come Malick per il suo ragionamento sia partito dal più piccolo e, apparentemente insignificante, elemento della nostra vita (come ad esempio vedere da vicino il piede di un bambino).

Come in Melancholia la ragione non ha un ruolo (come mostra il personaggio di Claire)  in Tree of Life la ragione non può comprendere la grandiosità della Verità e della Grazia.
Il finale è invece contrapposto, Lars von Trier decide di non rappresentare più nulla, il suo nichilismo non porta all’unione di niente ma semplicemente ad un buio totale, impossibile da non vedere, impossibile da non sentire mentre l’opera di Malick si conclude con l’immagine di un ponte capace di collegare non solo passato e futuro ma anche materia e spirito. Il nulla cosmico contro la speranza, due modi di vedere il futuro dell’umanità.

metafisico castello che ricorda L’anno scorso a Matrienbad,

Lascia un commento