Intervista a Bruce Sterling – 2

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– La stampa –
“Arte e design generativi: valutazioni di carattere critico”. E’ questo il titolo del workshop che lo scrittore di fantascienza e futurologo Bruce Sterling sta tenendo in questi giorni alle porte di Treviso, presso il laboratorio di ricerca sulla comunicazioneFabrica. Iniziato ieri, il workshop proseguirà fino a venerdì ed esplorerà un mondo in continua ebollizione espressiva, in cui si fondono il design industriale, l’arte interattiva e le potenzialità dei computer e dei network digitali. Un pianeta tutto da scoprire, come ci spiega lo scrittore americano.
Da interferenza artistica ed estetica nel processo industriale, il design sta avvicinandosi sempre più al mondo dell’arte ufficiale. A che punto siamo oggi? Possiamo considerare il design, a tutti gli effetti, come una forma d’arte del terzo millennio?
E’ ormai evidente che esiste una nuova materia, che potremmo chiamare “haute design”, che vende bene nel mercato dell’arte. La cura per il design nelle mostre è diventata sempre più importante e tutti i negozi interni ai musei – ce ne sono migliaia – sono ricolmi di prodotti dal design curatissimo. Forse i musei non considerano ancora il design come una vera e propria arte, ma di certo ne traggono già un buon profitto. Poi c’è da considerare l’intervento dei computer e di Internet. Sia gli artisti che i designer sono dipendenti dai processori e dalla Rete: da questo punto di vista, arte e design si stanno davvero fondendo.
Noi usiamo le macchine per generare arte, ma queste macchine stanno diventando sempre più sofisticate. Al punto da far venire un dubbio alla “Matrix”: sono ormai loro a “disegnare” la nostra estetica e la nostra vita? Sono in grado di creare arte e design senza l’intervento umano? E di modificare le relazioni sociali e umane? Siamo noi a usare Facebook o è Facebook a usarci e a dare una nuova forma al nostro modo di vivere online?
Io non sono per niente preoccupato dall’intelligenza artificiale. I processi automatici non diventeranno mai responsabili di alcun processo, perché i processi automatici per natura non sono responsabili di nulla, non cercano un potere loro e non sanno come difendersi dal potere delle persone. Ciononostante, è molto interessante assistere allo sviluppo di processi talmente complessi da essere in grado di svolgere compiti impossibili per le prerogative fisiche degli esseri umani. Questi sono i computer. Ce ne sono alcuni che fanno sembrare la catena di montaggio di Henry Ford come qualcosa di medievale. In quanto a Facebook, è vero, sta modellando le attività sociali delle persone in strane nuove forme. Però è un sistema giovane, sta evolvendo rapidamente e tra dieci anni dovremo spiegare alle nuove generazioni cos’era. Chi si ricorda di Friendster, il predecessore di Facebook? Nessuno. Lo stesso film “Matrix”, oggi non è ormai un po’ antiquato?
In alcuni dei suoi ultimi romanzi, come “La forma del futuro”, sembra emergere una sorta di “fantascienza delle cose e degli oggetti”, potremmo quasi chiamarlo un “designpunk”. E’ quello il futuro della fantascienza?
In effetti credo molto nelle possibilità di una “design fiction”. Però non la vedo collegata alla fantascienza. Credo anzi che la “design fiction” sia lontana dalla fantascienza, quanto il design lo è dalla scienza. Il design presenta sfide e opportunità narrative maggiori rispetto a quanto la scienza non abbia mai avuto. La fantascienza proseguirà nei suoi percorsi abituali. Non perderemo mai interesse per i pianeti lontani, a maggior ragione oggi che ci sono robot e sonde in grado di esplorare Saturno e che nuovi paesi come l’India hanno iniziato a piantare le loro bandiere sulla Luna. Lo stesso vale per i romanzi dedicati ai network, che godono di un’ottima salute. La design fiction si svilupperà in altre direzioni. Già oggi il mondo del design è pieno di scrittori e riviste – come “Abitare”, “Domus”, “Metropolis” – e qualsiasi azienda high tech ha un sito Internet che ha bisogno di essere riempito da uno scrittore. Si tratta di testi dedicati all’arredamento, alla tecnologia, ai gadget, alle realtà urbane… Ce ne sono tantissimi, ora però dobbiamo capire: cosa ci stanno davvero raccontando? Qual è il loro significato?
Walter Benjamin parlava della riproduzione meccanica come un’emancipazione per l’opera d’arte. Oggi che viviamo nell’era della riproduzione digitale, in cui i computer possono moltiplicare e diffondere milioni di opere nel giro di pochi secondi, siamo arrivati alla soluzione finale del processo? Il computer (ri)produttore d’arte sostituirà l’artista vero e proprio?
Non credo che questa sia una minaccia reale; è un po’ come chiedersi se un computer portatile sostituirà la propria moglie o marito. Certo, rischierai di perderli se dedicherai tutto il tuo tempo a una macchina senza vita, ma non arriverai mai a divorziare per sposare un Macintosh, un Toshiba o un Dell. Ai computer l’arte non interessa: possono produrre manufatti che l’uomo considera opere d’arte, ma non sono artisti. Non sono in grado di studiare arte, di impararla, gestirla e apprezzarla. E l’arte non ha niente da dire a loro. Preoccuparsi che i computer possano diventare artisti e come aver paura che gli aeroplani possano deporre uova. Inoltre, i computer moderni sono fatti per diventare obsoleti e morire in tre anni. Un’aspettativa di vita così breve non può essere la soluzione finale per niente.
Il workshop a Treviso ha come tema centrale l’arte generativa, realizzata con i computer. Per chi ne sapesse poco e volesse iniziare a esplorare questo mondo, quali passi suggeriresti?
La cosa migliore è visitare il sito di video Vimeo e inserire la parola “processing” nel motore di ricerca. Il “processing”, l’elaborazione dei dati, è il primo ambiente informatico costruito proprio per i fini della computer art. Per molto tempo, questi artisti hanno vissuto un po’ da cugini poveri, dovendo utilizzare macchine originariamente concepite per scopi militari, commerciali o per i film di Hollywood. Con il “processing” sono finalmente riusciti a definire un set di strumenti cibernetici che hanno come funzione fondamentale la creazione di opere d’arte. Con il pregio di essere sviluppati su modelli open-source, che ognuno può modificare e utilizzare liberamente. Anche sul sito di photosharing Flickr si trova molto materiale, sotto i termini “processing” e “generative”. In quanto agli artisti veri e propri, i gusti variano e l’arte generativa non è per tutti. Io suggerirei di cercare su Internet i lavori di Marius Watz, Jared Tarbell, Neri Oxman, Casey Reas, Fabio Franchino e Giorgio Olivero. Dalle loro opere si capisce subito come l’arte generativa contemporanea sia molto più avanzata di quella del secolo scorso. E’ qualcosa che gli esseri umani non hanno mai visto o provato prima.

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