Everyware: The Dawning Age of Ubiquitous Computing

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Adam Greenfield
Il mio interesse per quella che è stata definita la terza fase di internet è derivata dalla visione di Il futuro di internet (Geek Files) contenente un’intervista ad Adam Greenfield, Design Director di Nokia (ospite anche della manisfestazione Torinese 2009 di Frontiers of Interaction).
Per Ubiquitous computing (fu Mark Weiser a coniare il termine presso il Palo Alto Research Center della Xerox) si intende un modello post-desktop di interazione uomo-macchina o IUM (corrispondente all’inglese human-computer interaction o HCI), in cui l’elaborazione delle informazioni è stata interamente integrata all’interno di oggetti e attività di tutti i giorni. Opposto al paradigma del desktop (letteralmente: «scrivania»), in cui un utente individuale aziona consciamente una singola apparecchiatura per uno scopo specifico, chi “utilizza” lo ubiquitous computing aziona diversi sistemi e apparecchiature di calcolo simultaneamente, nel corso di normali attività, e può anche non essere cosciente del fatto che questi macchinari stiano compiendo le proprie azioni e operazioni.
Ad esempio ricordate il film Minority Report? L’Università di Munster ha realizzato una dimostrazione di pubblicità basata sulla cosiddetta segnaletica digitale: uno schermo è in grado di trasmettere uno spot sempre diverso, a seconda dell’ora del giorno ma anche della persona che in quel momento vi passa davanti.
In Germania stanno pensando persino ad una cucina intelligente, in cui il coltello sarà in grado di riconoscere il tipo di vegetale affettato e i sensori individueranno gli utensili in uso per preparare il pranzo.
A Tokyo il governo vuole distribuire una fitta rete di sensori e chip RFID in grado di informare dettagliatamente, in tempo reale e in totale comfort, chi per qualsivoglia motivo si trovasse a dover affrontare la labirintica complessità della città.
“Con questo sistema l’utente ha il controllo totale” dice il Prof. Sakamura, “Cerchiamo di infilare i chip e i tag solo negli oggetti e nell’ambiente, mai sulle persone. Con un sistema del genere l’utente può scegliere di leggere ciò che vuole”.
everyware.jpgLa prospettiva di avere a che fare in ogni momento con chip RFID e sensori di controllo, avvisa Adam Greenfield, autore del libro Everyware: The Dawning Age of Ubiquitous Computing (il titolo di questa fondamentale opera sullo ubiquitous computing può essere tradotto come «Everyware: l’alba dell’ubicomp», il cui primo termine, everyware, praticamente intraducibile, è costituito da un gioco di parole ottenuto incrociando l’avverbio di luogo everywhere («ovunque», cfr. sopra) con il suffisso -ware, tipico di parole quali hardware, software etc., indicante un insieme di apparecchiature di un certo tipo), paventa il rischio concreto di “conseguenze che sono tutto fuorché piacevoli”, non previste da chi ha in origine sviluppato i dispositivi e i network ubiqui. Una tecnologia che favorisce, secondo Greenfield, lo svilupparsi di “comportamenti imprevedibili ed indesiderabili”.
Per scongiurare i rischi del pervasive computing, l’esperto suggerisce alcune linee guida da seguire per imbastire opportune contromisure preventive: esso deve essere progettato come innocuo, deve auto-identificarsi agli occhi dell’utente, deve rispettare i tratti architettonici e l’aspetto esteriore delle strutture in cui è inglobato e deve soprattutto essere predisposto per il rifiuto e la disattivazione del controllo da parte dell’utilizzatore.
In caso contrario, sostiene Greenfield, la tecnologia si rivelerà un pericolo più che una nuova opportunità per tutti. Ed è una questione più attuale di quanto si possa credere: “È più di una possibilità – dice Greenfield – Credo che sia già un problema”.
Ed è forse una considerazione veritiera se si considera che già il security guru Bruce Schneier ha messo in guardia dalla frammentaria ma costante pervasività delle tecnologie di controllo – tali da far sembrare il “Grande Fratello” di Orwell una visione superata – e che c’è chi come il produttore Chase Corporation annuncia lo sviluppo di una sorta di scudo anti-intrusione per tutti gli oggetti contenenti al loro interno sensori RFID.

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