The Avengers

Nuovo e attesissimo film Marvel, Avengers. Le 500 uscite a (stelle e) strisce dei Vendicatori, in 48 anni, costituivano un bacino sufficientemente vasto da cui attingere in sede di sceneggiatura, da conciliare, però, con la necessità di esibire una continuità con i film recenti. Il copione di Joss Whedon, elaborato in presenza degli attori in nome di una sinergia che per essere credibile sullo schermo andava resa autentica fin dal principio e cioè dalla carta, ha il suo punto di forza nella scelta del super cattivo, Loki, fratellastro di Thor, ma fautore di un efficace effetto a catena. Lo lega, infatti, a Capitan America il possesso del cubo cosmico, mentre il super soldato è legato a sua volta a Hulk dal siero (sperimentato anche da Bruce Banner) e a Ironman dallo scudo, che il film – a differenza del fumetto- vuole forgiato da Howard Stark, padre di Tony. Loki è dunque al centro di una squadra che non è ancora tale ma che troverà il suo spirito di gruppo nella voglia di liberarsi di lui (ottima, in questo senso, la performance fastidiosa e mentalmente tarata di Tom Hiddleston), oltre che in un desiderio di vendetta che dovrebbe colpire dritto al cuore, anche se in questo caso la semina non è stata probabilmente all’altezza dell’effetto sperato. 
Quasi fosse in possesso di un misurino magico, Whedon dosa la partecipazione dei singoli supereroi all’impresa comune con precisione inattaccabile, lasciando che Ironman abbia sempre l’ultima parola, com’è giusto che sia, per la natura del personaggio e per i crediti accumulati fin qui. Salverà l’umanità niente meno che da se stessa. Inoltre, sorprende positivamente la new entry di Mark Ruffalo nei panni del gigante verde: il suo Bruce Banner ha un look da giovane professore universitario di provincia ma dietro la sua timidezza si sente ribollire l’incontenibile segreto. Più rassegnato di Norton, quasi pacificato con la sua seconda essenza, l’Hulk di Ruffalo “spacca”, arrivando maturo sul set di Avengers come all’appuntamento con un destino segnato. Ma ciò che vale la pena di apprezzare maggiormente nel lavoro di Whedon, oltre al tono generale, divertito e convinto, è l’abilità con la quale ha saputo evitare il rischio più pericoloso, ovvero quello di non saper far seguire alla macrosequenza tanto attesa del reclutamento un finale di partita all’altezza. Proprio grazie a una confezione attenta del capitolo action gli scontri non si fanno noiosi e ripetitivi e il film vola nella sua pur notevole lunghezza. 
Tra le piccole squisitezze del film, Pepper Potts troppo impegnata a guardare le gesta del suo eroe preferito sul monitor per rispondere alla chiamata d’emergenza.

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