Piccoli spaventati guerrieri

La Bonelli farà uscire, il 16 ottobre una nuova serie, gli Orfani, a colori. 
Come è nata l’idea e come avete deciso, tu e Mammucari, di presentarla a Sergio Bonelli? Quale fu la sua reazione, riguardo al vostro progetto?

Roberto Recchioni: Io ed Emiliano abbiamo iniziato, quasi per scherzo, a pensare al possibile progetto di una miniserie per Sergio Bonelli Editore. Volevamo creare una storia che riguardasse dei protagonisti molto giovani (cosa abbastanza inedita per la Casa editrice) e che parlasse di riti di passaggio e crescita. Inizialmente, avevamo pensato a un nucleo di ragazzini, nipoti di un gruppo di supereroi ormai in pensione, che decidevano di seguire le orme dei loro nonni. Era un’idea divertente, ma non sarebbe stata adatta per il linguaggio della Bonelli e per il mercato italiano. Quindi, ho isolato i temi narrativi che io ed Emiliano volevamo affrontare e mi sono messo a cercare un contesto adatto. Ci ho messo poco a capire che uno dei generi della fantascienza che amo di più (la fantascienza bellica, di cui Robert HeinleinJoe Haldeman sono gli antitetici padri spirituali), mi offriva lo scenario perfetto. Il resto è venuto di conseguenza. La serie ha preso lo spunto da opere come Stand By Me eLa Lunga Marcia di Stephen King, Il Signore delle Moschedi William Golding, Fanteria dello Spazio e Guerra Eterna(dei già citati Heinlein e Haldeman), Il Grande Uno Rossodi Samuel Fuller e Full Metal Jacket di Stanley Kubrick, ma poi ha seguito un suo percorso personale, trovando una sua strada al racconto e una sua voce. La reazione di Sergio Bonelli e di Mauro Marcheselli fu rapida e convinta. Ci diedero subito il via, rilanciando e proponendoci loro di realizzarla interamente a colori.

Si può catalogare in uno specifico ramo del genere fantascientifico? In cosa differisce, ad esempio, rispetto a Nathan Never?

Fantascienza bellica. Le differenze con Nathan Never sono sostanziali. La fantascienza di Nathan è estremamente dettagliata mentre la nostra è fortemente stilizzata. La resa del futuro di Orfani ha quasi un approccio teatrale mentre quella di Nathan Never è estremamente “realistica”, per così dire. Anche le tematiche sono profondamente diverse: Nathan Never ha uno spettro di storie molto ampio e declina tanti generi diversi all’interno della sua narrazione. Orfani, invece, si concentra su alcuni temi molto specifici e solo su quelli.

È diverso, per te, scrivere una serie che sai fin da subito che potrà sfruttare la spettacolarità del colore? Hai costruito, per Mammucari e gli altri disegnatori dello staff, scene pensate per poter rendere al massimo grazie al lavoro di un colorista?

Assolutamente sì. Considerato il tipo di approccio e il tipo di cura che abbiamo riservato al colore, sarebbe stata una follia non tenerne conto in fase di scrittura. Il colore, al pari del testo e del disegno, ha un’ importanza enorme sia dal punto di vista della spettacolarità, sia sotto quello delle emozioni.

appiamo che, attualmente, la serie è strutturata su due “stagioni”, ognuna composta da dodici uscite: sono già perfettamente chiuse e definite, dal punto di vista narrativo, oppure ti sei tenuto qualche spazio per improvvisare? Sarai sempre tu a curarne le sceneggiature?

Mi lascio sempre lo spazio per improvvisare. Come narratore so che, in fase di scrittura, cercherò sempre di sorprendere me stesso con svolte impreviste e, per questo motivo, cerco di non mettermi mai troppi paletti prima di iniziare a scrivere. Una volta stabilita la struttura generale e i caratteri dei protagonisti, amo vedere dove loro decideranno di portarmi. Ovviamente, ci sono dei punti fermi, ma meno di quanti si possa pensare.
Nel caso della seconda stagione, per esempio, ho dato le premesse e stabilito la conclusione, ma il viaggio che io e Mauro Uzzeo (lo sceneggiatore con cui ho deciso di collaborare per la scrittura di questo secondo arco di storie) faremo fare ai protagonisti è ancora, largamente, ignoto.

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