Interstellar

Ieri è uscito The endless river probabilmente l’ultimo disco dei Pink Floyd un’opera carica di nostalgia della band che più evoca gli spazi siderali e le profondità del cosmo e oggi ho visto finalmente dopo anni di lunga attesa quello che senza problemi definisco l’autentico capolavoro del mio regista preferito con la sua prima opera spaziale. Certo Nolan non ha mai sbagliato un colpo ma questo Interstellar così perfetto da alternare fisica quantistica, warmhole in italiano un cunicolo spazio temporale e singolarità cosa ha in più rispetto alle altre opere del famoso regista inglese? Di primo acchito mi verrebbe da dire l’umanità e i sentimenti mai così mostrati prima d’ora in una delle sue opere, si in Inception c’era il sentimento di tremenda angoscia del protagonista per il comportamento della moglie e per la perdita dei figli in un modo così tremendo ma qui il senso di struggente amore che il protagonista (un grande Matthew McConaughey) nutre nei confronti della figlia lasciata sulla terra è una metafora di più ampio respiro che include il destino di tutta l’umanità presente su una terra malata e morente.

Nolan mostra un uso magistrale del montaggio parallelo, lavorando sulla suspense tra due linee di trama nello stesso momento (quella dell’astronauta Cooper e della figlia Murph o in certi casi quelle degli eventi che stanno accadendo contemporaneamente ai diversi astronauti) o come intenda il tempo.
Dentro questo grande film poi ci sono senz’altro echi di 2001 Odissea nello spazio, di Contact ma anche dei precedenti film di Nolan da Memento e Inception per quello che riguarda la concezione del tempo. In quasi ogni suo film Nolan ha dimostrato che il cinema può raccontare storie intrecciandone la trama a partire dalla sovrapposizione di temporalità diverse, trovando così percorsi nuovi anche per parabole canoniche. In Interstellar il tempo degli astronauti non è quello sulla Terra, i loro eventi si svolgono in momenti differenti ma lo stesso comunicano di continuo e in maniere sempre nuove, rinfrescando espedienti di suspense ormai usurati. È parte del fascino da puzzle dei film di Nolan ma più in grande è anche la dimostrazione di una vivacità narrativa e un’originalità registica fortissime che impongono un passo diverso ai suoi film e costringono lo spettatore al piacere della concentrazione. I tempi del film seguono un ritmo tutto proprio, con uno stacco vengono saltati diversi mesi, piazzando ellissi là dove altri avrebbero indugiato (gli astronauti non si preparano? Cosa succede tra l’accettazione della missione e la partenza?) e in altri casi vengono allungati a dismisura momenti su cui altri avrebbero sorvolato. Se non siete ancora andati a vederlo affrettatevi vivrete una vera esperienza visiva emozionante.

Non andartene docile in quella buona notte,
I vecchi dovrebbero bruciare e delirare al serrarsi del giorno;
Infuria, infuria, contro il morire della luce.

Benché i saggi conoscano alla fine che la tenebra è giusta
Perché dalle loro parole non diramarono fulmini
Non se ne vanno docili in quella buona notte,
I probi, con l’ultima onda, gridando quanto splendide
Le loro deboli gesta danzerebbero in una verde baia,
S’infuriano, s’infuriano contro il morire della luce.

I versi della poesia di Dylan Thomas “Do not go gentle into that good night” (1951) sono recitati dal professor Brand (Michael Caine) in più di un’occasione nella prima parte di “Interstellar” fin dalla sua entrata in scena quando Cooper, insieme alla figlia Murph, trovano la base sotterranea di quello che è rimasto della NASA, nella vecchia base del Norad, il comando della difesa aerospaziale del Nord America ormai dimenticata che era la location di Wargames – giochi di guerra.

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