Quando c’era Marnie

Solo ora riesco a pubblicare un breve commento, con vera mestizia, a quello che è a tutti gli effetti il testamento dello Studio Ghibli, Quando c’era Marnie, l’atto finale di un’epopea impareggiabile che non tornerà mai più. Primo titolo (e forse ultimo) privo di ogni contributo da parte delle due anime dello studio, Takahata Isao e Miyazaki Hayao.

Anna soffre di asma, ma i suoi problemi sono di natura psicologica: non riesce ad accettare se stessa e ad amare la propria madre adottiva. Quest’ultima manda Anna in vacanza da dei parenti in Hokkaido, nella speranza che ritrovi salute e serenità. Inspiegabilmente attratta da un maniero che si vocifera sia infestato dai fantasmi, la ragazza vi conoscerà Marnie, una coetanea che sembra provenire da un’altra epoca.

Il film rimane quintessenza di uno stile filosofico, emotivo e morale forgiato nei decenni e via via perfezionato dal punto di vista tecnico, i colori e i giochi di luci e ombre in Quando c’era Marnie raggiungono vette stupefacenti, come esige una ghost story britannica, scritta da Joan G. Robinson nel 1967 e trapiantata da Yonebayashi Hiromasa (Arrietty – Il mondo segreto sotto i pavimento) nel paesaggio naturale dell’Hokkaido.
Il primo segmento di Marnie è scioccante per il verismo con cui racconta di uno stato di depressione e di incapacità di interagire con l’altro da sé; ma il secondo non è da meno, mettendo in scena un’amicizia tra le due ragazze che ha tutte le caratterisitiche della storia d’amore e che sembra indirizzare la vicenda verso un epilogo imprevedibile e spiazzante. 
Anna e Marnie, un tomboy e una bambina bionda di un’altra epoca, sono apparentemente opposte per aspetto e ambiente di appartenenza ma complementari come lo yin e lo yang e si attraggono inesorabilmente in un mondo che non accetta l’una per la sua singolarità e l’altra perché non appartiene al piano convenzionalmente inteso come realtà. In Marnie vivono un po’ di Cenerentola e un po’ della sua omonima hitchcockiana, nella sua famiglia la Belle Époque spettrale di Shining e il gotico delle sorelle Brontë; ma per quanti riferimenti cinematografici o letterari si possano cogliere Quando c’era Marnie è soprattutto Studio Ghibli. Un sogno che speriamo continui magari con giovani autori capaci di ereditare lo spirito creativo di Takahata Isao e Miyazaki Hayao.