Sono riuscito solo adesso a vedere questo film, e mi è pure piaciuto, alla faccia di chi lo denigra (i cosìdetti trekker doc di cui mi onoro di non fare parte pur avendo seguito tutti i vari spin off di Star Trek, anche perchè i trekker per me non sono neanche veri fan della fantascienza in quanto oltre a Star Trek altro non vedono e non conoscono). Sfido chiunque a venirmi a dire che questo non è un gran film, non sarà molto “trekker” ma è divertimento allo stato puro.
J.J. Abrams da sempre alla ricerca dei meccanismi infallibili dell’intrattenimento, abilissimo assemblatore di affascinanti macchine calamita sguardi e narratore di gran ritmo, con il secondo film di Star Trek conferma di essere all’altezza del proprio nome e del nume tutelare che ha scelto per sè: Steven Spielberg. (bellissima la scena d’apertura citazione dell’inseguimento indigeno di Indiana Jones e i predatori dell’arca perduta, ma le citazioni all’interno del film di sprecano, anche di Star Wars, e infatti alcuni hanno ironizzato dicendo che il film è più Star Wars che Star Trek).
Sebbene non dotato della profondità cinefila del maestro, Abrams ne ha appreso la lezione sulla semplicità narrativa e così riesce a ripetere l’ottimo exploit del suo Star Trek precedente senza davvero ripetere se stesso. Into Darkness, a dispetto del titolo, è una divertente corsa in cui la trama è srotolata durante l’azione, in cui le battute sono pronunciate correndo o al massimo camminando veloce e in cui la macchina da presa mobile al massimo riesce ad essere misteriosamente invisibile, mentre i bagliori lenticolari (anche quello un marchio dello Spielberg di fantascienza che Abrams ama enfatizzare) ampliano la prospettiva verso la grande epica.
Abrams non solo non ha paura di un confronto o della fedeltà con la serie (con una mano innesta un altro dei personaggi classici e con l’altra tramuta l’amicizia tra Spock e Kirk in un bromance moderno dove, come amanti, i due sovrappongono le mani da parti opposte di un vetro) ma è il primo che in questi anni di film tratti da altri lungometraggi o da materiale televisivo, cerca un rapporto diretto, continuo ed esplicito con il testo di partenza. Con l’esperienza maturata su entrambi gli schermi non si accontenta di una filiazione tra le due saghe e pretende una compenetrazione molto più complessa, perchè sa che la narrazione avviene nella testa degli spettatori, luogo in cui già esiste una mitologia trekkista con cui fare i conti (si sia fan o meno non si può ignorare l’esistenza della serie). E da gran narratore Abrams vuole indirizzare questa relazione. Infatti non solo questo film rielabora, ribalta e rimescola molti momenti già visti negli scontri con Kahn (un bravissimo Benedict Cumberbatch) ma con un salto metacinematografico non da poco e una metafora a questo punto sottilissima, in Into Darkness Abrams riesce effettivamente a far dialogare, nel senso stretto del termine, il suo Star Trek con lo Star Trek classico, lasciando addirittura che il secondo suggerisca al primo come risolvere la minaccia che incombe attingendo alla propria storia.