Lo hobbit La battaglia delle cinque armate

Ieri per Giovanna e me si è chiuso un cerchio con la visione de Lo Hobbit La battaglia delle cinque armate. 13 anni sono passati da quando Peter Jackson riesce a dare forma ai nostri sogni di grandi appassionati delle opere letterarie di JRR Tolkien. La prima trilogia è consegnata alla storia, un opera di grande respiro, capolavoro assoluto che ha contribuito a far conoscere Il Signore degli Anelli ancora più diffusamente. È un errore paragonare la prima trilogia con questa seconda di cui La battaglia delle cinque armate (rabbrividisco solo al pensiero del titolo) perché per vari motivi sembra realizzata in modo imperfetto.

Non è questione di essere puristi, il film piacerà a un pubblico generalista, ma ha il difetto dei primi due, è troppo diluito, ridondante e non chiude tutte le trame aperte. Il pensiero è che le parti finali sia state tagliate a favore della vendita della versione estesa.

E vada per i mangiaterra (were worms) che sembrano i sandwarm i vermi delle sabbie di Dune, mai descritti da Tolkien ma citati da Bilbo durante la festa con i nani e tradotti in italiano come draghi mannari, che si vedono per un secondo per poi sparire.
Ma vogliamo parlare della fine troppo frettolosa di Smaug, Dain Piediferro, cugino di Thorin che sparisce nel nulla. E Radagast? Beor lo vediamo scaraventato dalle aquile nella battaglia e poi? Muore Thorin, nessuno sembra ricordarlo degnamente. Bilbo sembra l’unico colpito dalla sua morte, cosa fa Gandalf per commemorarlo? Fuma la pipa.
Ma dico ci voleva così tanto che Thorin Scudodiquercia dicesse a Bilbo Baggins la frase più nota e significativa de Lo Hobbit? Invece no…
« In te c’è più di quanto tu non sappia, figlio dell’Occidente cortese. Coraggio e saggezza, in giusta misura mischiati. Se un maggior numero di noi stimasse cibo, allegria e canzoni al di sopra dei tesori d’oro, questo sarebbe un mondo più lieto. »

C’è poco approfondimento psicologico dei personaggi e una CGI esagerata da videogiocone, eserciti di elfi e nani replicati all’infinito che sanno di finto, un Legolas troppo tamarro/Rambo/Matrix, quando salta in slow motion sulle rocce di un ponte distrutto è troppo, anche per lui.
Che dire poi del Bianco Consiglio, Elrond, Galadriel e Saruman che intervengono per liberare Gandalf, in un episodio che rimane anc’esso appeso e senza una degna conclusione?

Per ultimo, Tauriel, che come personaggio oltre ad essere del tutto inutile, perlomeno in questo film, prosegue quella che a mio parere è la più grossa baggianata compiuta da Jackson, l’assurda e inventata storia d’amore tra lei e Kili che sfocia nel ridicolo in questo ultimo capitolo.
La battaglia delle cinque armate ha alcuni pregi, come l’interpretazione degli attori, tra tutti Martin Freeman che è un perfetto Bilbo e Richard Armitage un ottimo Thorin ma in definitiva rimane l’amara realtà: se il SdA era un opera autoriale, Lo Hobbit è un operazione meramente commerciale e senza cuore. Un’occasione sprecata.

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